Ciascuno ha il dono di un'attitudine, di un talento. Lui sapeva giocare divinamente bene a calcio balilla.
Taciturno e timido, si trasformava nella competizione divenendo aggressivo, loquace, impertinente.
Incomparabile con la mediana, valido attaccante, sacrificava molte sere ed interi giorni di festa degli anni più belli in epiche partite, interminabili tornei di paese.
Vinceva sempre.
Il suo compagno di difesa era l'opposto, non si scomponeva mai. Si limitava ad esclamare "gioco, partita, incontro" ogni volta che vincevano.
Una frase mutuata da un noto telecronista di tennis degli anni sessanta.
Ero bravino anch'io, in qualche rara partita al bar o all'oratorio, le nostre sfide finivano sempre in parità: quando uno era avanti nel punteggio, aspettava l'altro, per amicizia.
Vincitore di coppe, medaglie, trofei, targhe, lo vidi ad un ultimo torneo all'aperto, nel viale alberato della scuola il 16 agosto del '76.
Ci ero andato con lo stesso spirito di chi si siede su una panca della stazione a scrutare se scende dal treno una persona che non si vede da tanto tempo. Lui comunque arrivò. Giocò senza il suo difensore, ammalatosi di un male inguaribile, la malinconia.
Finì al secondo posto, vinse la coppa messa in palio dal distributore di benzina del paese.
Non per la bravura di una volta, ma soltanto perchè gli avversari si erano distratti a guardare il volto della ragazza che giocava insieme a lui.
Qualcosa era cambiato.